Se ci fosse un’Università dello Smart Working, potremmo tranquillamente dividerla in semestri, come tutti i corsi di laurea.
E proprio come in tutti i corsi di laurea, il primo semestre è sempre quello che permette di sperimentare, individuare potenzialità e lacune e progettare le successive traiettorie di carriera – in alcuni casi fino a cambiare direttamente il proprio percorso di studi. Questo, certamente, può dirsi anche per il lavoro agile – è più corretto e utile ai nostri fini chiamarlo così – e per la sua imponente applicazione al settore pubblico durante la perdurante emergenza pandemica.
Le cosiddette “fasi 1 e 2” sono state il terreno di sperimentazione di un istituto – il lavoro agile, appunto – che esiste nel nostro ordinamento già dal 2017. Nel comparto pubblico, però, tolti alcuni casi illuminati, solo nel 2020 ci si è trovati a fare i conti con questa nuova forma di organizzazione del lavoro; lo si è fatto in modo imprevisto e non programmato, in un “progetto pilota” che per numeri e ‘simulazione del reale’ non ha eguali nel mondo dell’organizzazione.
Sono sicuramente tanti gli aspetti positivi che rimangono da questa sperimentazione e che non devono essere abbandonati: la decisa transizione al lavoro per obiettivi anche nell’Amministrazione Pubblica, la promozione di forme di conciliazione vita-lavoro efficaci e adottabili su larga scala, la spinta alla digitalizzazione e alla riduzione degli spostamenti non indispensabili – con tutto quanto ne consegue in termini di politiche ecologiche.
E tanti altri, invece, sono gli elementi critici su cui è necessario intervenire – e su cui già parzialmente sta orientando la sua azione il Ministero per la Pubblica Amministrazione: c’è un evidente problema di competenze informatiche per la gestione e per l’accesso ai servizi erogati online (e la prenotazione per l’accesso alla vaccinazione lo sta mostrando ogni giorno); va affrontata di petto la sicurezza dei dati personali trattati da remoto, tema che non può essere relegato al possibilismo in nome della gestione emergenziale. Da ultimo, per quanto possa apparire una questione meramente giuridico-organizzativa con scarsi riflessi sulla percezione della qualità dei servizi erogati, vanno ristabiliti gli ambiti di auto-organizzazione che la Costituzione garantisce agli enti pubblici e, soprattutto, agli enti locali, continuo termometro della presenza dell’apparato burocratico nella vita dei cittadini.
In questo articolo si ripercorrono alcuni di questi temi, operando una ricostruzione normativa della fase emergenziale e prefigurando alcune domande con annesse traiettorie di sviluppo in ambito normativo e organizzativo.