Una metropoli nei bordi.

Tattiche progettuali per pensare l’accoglienza come occasione per fare la città diffusa.

Alessandro Pirani
24 Novembre 2020

Tattiche progettuali per pensare l’accoglienza come occasione per fare la città diffusa.

Che a Bologna le case per gli studenti vengano date col contagocce, non è una novità. Che a Bologna le case agli studenti siano sempre state affittate con tipo moltissime condizioni capestro, non è affatto una novità. Che a Bologna e nelle altre città universitarie sia sempre esistita una bolla speculativa vagamente tribale in base alla quale ‘non si affitta ai meridionali’ o ‘no DAMS’ o altre amenità, che insomma esista il problema dell’affitto a categorie di cittadini speciali, tu chiamali se vuoi city users, che questo problema sia grande come un condominio, ecco non è assolutamente una novità.

Se ne accorsero, all’epoca dell’indimenticato Sindaco Guazzaloca — unico episodio di Giunta-non-di-sinistra, in una lunga era geologica monocolore. Se ne accorsero (vado a memoria, poteva essere il 2000), i costruttori, la cui associazione promosse un progetto per costruire nuovi alloggi per attrarre quella che all’epoca si chiamava la ‘classe creativa’, sulla base del — questo sì, dimenticato — framework delle 3T di Richard Florida, nel suo ‘rise of the creative class’, correva l’anno 2003. Che poi era un titolo curioso e un po’ pruriginoso, se visto da Bologna, ma insomma in questo caso le 3 T stavano per 1) talento, 2) tolleranza, 3) tecnologia.

Tre paroline magiche, da non confondere con le più nostrane 3 I, che avrebbero dovuto descrivere i connotati ideali di una città che avesse voglia di pensarsi come luogo “attrattivo”. Attrattivo e voglioso di pensarsi come città smart — sì, allora si diceva ancora, oggi pure ma non qui — nel disperato tentativo un po’ bislacco di imitare, seppur in sedicesimo, le Grandi Capitali del mondo, che appunto in quanto tali avevano in realtà ben altre logiche di funzionamento — la prima delle quali, come ci ha insegnato il criticatissimo intervento del Ministro Provenzano a Milano alcuni giorni fa, è ed è sempre stata e probabilmente sempre sarà quella della concentrazione accumulativa del capitale a tutto discapito dei territori, tanto quelli periferici quanto quelli ultra-periferici, montani, quelle plaghe neglette dalle classi urbanizzate e buoni solo per le s-campagnate nei fine-settimana.

Sono trascorsi vent’anni, e forse una ville moyenne per certi versi paradigmatica come Bologna ha capito in cosa può consistere la sua specificità, che consiste prima di tutto nello smarcarsi dal rischio di diventare una periferia di Milano per colpa della metropolitana padana, e poi nel valorizzare le proprie specificità produttive e culturali di ex capitale dello Stato Pontificio del nord, e infine di evitare di diventare una periferia di Milano. Tutto chiaro, ma a mettersi di traverso c’è stata, nel frattempo, la terza T di Florida che da delizia si è trasformata in croce, in un amen.

Complice l’esistenza ed efficacia del network effect, nonché della implacabilità tutta pull — e quindi, esiziale per un sistema essenzialmente basato sul push — dei sistemi platform-based. Complice l’azione sublimemente estrattiva delle logiche low-cost, che hanno trasformato la città da “importantissimo nodo ferroviario” (cit.) a “abbastanza importante nodo aeroportuale”.

Complice, infine, la difficilissima risposta delle politiche e della politica a fenomeni la cui rapidità mal si concilia coi tempi della democrazia e men che meno con quelli delle burocrazia, pachidermica nei suoi tempi di reazione e bradipesca nell’implementazione delle sue misure di contenimento, nell’invenzione di incentivi-selettivi in grado di piegare l’interesse privato a quello, vivaddio, collettivo.

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